L’acqua avrebbe una memoria e, a seconda delle informazioni ricevute, può “comportarsi” in un modo o in un altro. A dirlo c’è il rischio che qualcuno storca il naso.
Sicuramente qualche anno fa l’argomento sarebbe stato liquidato, nel migliore dei casi, con un “non è scientificamente provato”. Oggi che a parlarne e a tornare sul tema sono scienziati illustri e premi Nobel, in un progetto editoriale dedicato all’acqua, l’argomento va quanto meno posto. Anche solo perché chi è interessato abbia alcuni elementi di informazione da cui poter poi approfondire le proprie opinioni, a favore o contro che siano.
I Nobel riabilitano Benveniste
Oggi sono ben due premi Nobel, e molti altri insigni rappresentanti del mondo scientifico d’avanguardia, a riabilitare Jacques Benveniste, scienziato francese che nel 1988 scrisse per la rivista Nature un articolo in cui parlava della “memoria dell’acqua”. In sostanza, Benveniste pubblicò i risultati di alcuni suoi esperimenti secondo i quali le molecole dell’acqua, sottoposte a delle sostanze poi diluite fino a rendere le stesse praticamente assenti nel liquido, si comporterebbero in modo “informato”, come se avessero ricordo della sostanza con cui sono state in contatto. La comunità scientifica accademica più conservatrice iniziò una sorta di boicottaggio dell’operato di Benveniste, “ricercatore di fama, a torto incompreso e ridicolizzato”, per dirla con le parole di Luc Montaigner, premio Nobel per la scoperta del virus responsabile dell’HIV nel 2008. Oggi il grande scienziato, che sta rivolgendo i suoi studi proprio alla memoria dell’acqua e ai grandi scenari che essa potrebbe aprire in campo anche medico, dichiara pubblicamente che i suoi studi “affondano le radici nelle ricerche del compianto Jacques Benveniste”. E, del resto, tale sforzo si avvale del contributo di Jamal Aissa, già stretto collaboratore di Benveniste. Nella prefazione del libro postumo del ricercatore francese, del resto, è Brian Josephson, altro premio Nobel per la fisica nel 1973 per i suoi lavori sui superconduttori accoppiati (definiti anche "effetto Josephson”), a scrivere: “… ci proponevamo di rendere noto nel futuro, non appena fosse stato consegnato il premio Nobel a Jacques Benveniste ‘per aver chiarito i meccanismi biologici relativi alla struttura dell'acqua’. Ed è veramente un peccato che tale onorificenza sia riservata soltanto agli scienziati ancora viventi. Sono convinto che il contributo scientifico del dottor Benveniste sarà un giorno riconosciuto come giustamente merita”.
La memoria dell’acqua nel biolago
Perché parlare di memoria dell’acqua? Sicuramente questa non è la sede, e neppure ci sono le competenze, per discutere gli scenari scientifici di questo studio. Ma, parlando di biolaghi, si può a ragion veduta esprimere il beneficio energetico e a livello di equilibrio psicofisico riscontrabile in chi goda delle sue acque naturali. Che le acque dell’ecolago abbiano un flusso di energia e una vitalità ben diversi da quelle di acque per esempio sterilizzate, è più che un’impressione (a renderlo evidente sono anche i differenti effetti su pelle, occhi e capelli, per citare solo un dato). Ma, al di là di questo, un biolago diventa – e chiunque ne abbia uno lo può dire – uno specchio fedele e limpido di chi lo vive o lo ha realizzato. Ne assume le caratteristiche, lo riflette. Sono convinto che un lago naturale realizzato in modo “industriale” – sempre che allora si possa definire tale – avrebbe un’energia e un’emozionalità ben diverse.